LA STORIA DELLE PROTESI FRA ANEDDOTI E CURIOSITA'


Nella strage di Boston Adrianne ha perso un piede e ciononostante si dice sicura che tornerà a ballare. Un tempo non sarebbe stato così scontato. Una volta d’amputazione, naturale o chirurgica, si moriva. Le protesi, poi, esistono da secoli ma solo negli ultimi due sono arrivate a permettere una buona autonomia. La storia è ricca di aneddoti.

Una moderna protesi alle prese con la gestione del mouse
Durante la battaglia di Waterloo, tappa finale della corsa di Napoleone alla conquista del mondo, il comandante Henry William Paget ebbe un ruolo secondo solo al duca di Wellington che, tuttavia, gli costò una gamba. Siamo nel 1815. Un colpo di cannone ha disfatto l’arto e bisogna intervenire in fretta. Roba di minuti. L’asportazione ai tempi ne richiede meno di uno. C’è persino una sorta di competizione fra chirurghi a chi è il più veloce. Non è sfida al primato, è che in un’epoca senza anestesia e dove lo studio delle infezioni è agli albori, intervenire rapidamente è fondamentale. Il Paget è salvo, è nominato primo marchese di Anglesey e si merita una protesi avveniristica: la gamba artificiale ideata dal medico londinese James Potts nel 1800. Un arto completamente snodato fatto di legno, metallo e budello che consente una discreta deambulazione, tanto da restare in uso fino agli inizi del XX secolo.
Ricco non era Egesistrato, soldato greco che per fuggire dai Lacedemoni si taglia un piede e lo sostituisce con uno in legno. Lo narra Erodoto nelle Storie, siamo nel V sec. a.C., e il gesto non servirà a evitargli la cattura e la morte. Prima di lui in Egitto due protesi dell’alluce, conservate una al Cairo e una a Londra, dimostrano che già prima del 600 a.C. le protesi non sopperivano solo a carenze estetiche ma pure a precisi deficit funzionali. Nel 300 a.C. siamo a Capua con una gamba in bronzo, ferro e legno che è andata persa nei bombardamenti del 1941 a Londra. Plinio il vecchio, nella sua Naturalis Historia, racconta del generale romano Marco Sergio Silo, distintosi nella seconda guerra punica (218-202 a.C.), che, persa la mano destra in battaglia, la sostituisce con una in ferro con cui si batte con tal valore che lo stesso Plinio scrive che  «vinse anche la sorte».
Nel 1509 un nome la cui protesi entra a far parte dell’immaginario collettivo: Goetz Von Berlichingen. Il cavaliere tedesco, cui Goethe dedicherà un dramma, persa una mano in combattimento se ne fa costruire una metallica articolata, le cui dita possono essere bloccate in diverse posizioni garantendo una presa così salda da permettergli di continuare a battersi con pugno di ferro, appunto.


Il vero salto di qualità arriva con la prima guerra mondiale, quando il chirurgo tedesco Ernst Ferdinand Sauerbruch, dopo gli studi dell’italiano Vanghetti del 1895-97, impianta le prime braccia artificiali che si muovono su comando della persona grazie all’innesto dei meccanismi direttamente sui muscoli del moncone. Alla lunga, però, la muscolatura si indebolisce rendendo l’applicazione inefficace. Si arriva così agli anni Cinquanta con le prime protesi mioelettriche, che, commercializzate dal decennio successivo e alimentate con pile interne ricaricabili, consentono il movimento tramite motorini e, soprattutto, sensori che captano il segnale elettrico del cervello che arriva sulla parte di braccio residua.

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